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IMPRONTA ECOLOGICA


L’impronta ecologica rappresenta l’area fertile necessaria per rigenerare ciò che consumiamo e assorbire l’anidride carbonica che emettiamo.


Per calcolare l’impronta ecologica è necessario categorizzare i consumi, secondo la seguente classificazione:

- Alimenti;

- Abitazioni;

- Trasporti;

- Beni di consumo;

-Servizi.

Inoltre, è importante capire come vengono prodotte le risorse naturali che noi consumiamo. Per farlo abbiamo bisogno di una categorizzazione:

- Territorio per energia;

- Terreni agricoli;

- Pascoli;

- Foreste;

- Superficie edificata;

- Mare.

In effetti, se vogliamo mangiare una bistecca o un’insalata, deve esserci un luogo deputato all’allevamento o alla produzione orticola. Ognuna di queste azioni, ha un impatto sull’ambiente.


Per essere in equilibrio, l’impronta ecologica dell’umanità dovrebbe essere pari o inferiore alla biocapacità planetaria. In realtà l’umanità vive al di sopra delle sue possibilità perché ha un livello di consumi che richiede una quantità di terra fertile il 66% più alta di quella disponibile. Non potendo usare ciò che non c’è, lo squilibrio si manifesta sotto forma di mancata funzione. L’esempio più clamoroso è l’incapacità della natura di assorbire tutta l’anidride carbonica emessa, con conseguente accumulo in atmosfera.



Lo scarto fra impronta ecologica e biocapacità può essere rappresentato anche col calendario. Suddivisa l’impronta annuale per 365, si spunta ogni giorno finché la somma degli ettari utilizzati non raggiunge la biocapacità. Il giorno in cui tale limite è superato, è definito overshoot day e segnala l’inizio dei consumi senza corrispettivo di terra fertile. Nel 2015 i giorni scoperti sono stati 140. Quando l’overshoot day cadrà il 30 giugno, sarà il segnale che avremo bisogno di due pianeti.


Ridurre l’impronta ecologica non è affatto semplice, perché la popolazione mondiale cresce sempre di più, le tecnologie aumentano, i terreni coltivabili diminuiscono, ettari ed ettari di boschi vengono distrutti ogni anno, i mari sono sempre più inquinati e le temperature sono in aumento.


Come cittadini, la strada per ridurre la nostra impronta è la sobrietà che significa consumare quanto basta in maniera efficiente. In particolare sono fondamentali: un’alimentazione equilibrata, mobilità sostenibile (a piedi, in bici, con i mezzi pubblici), consumi “corti” o locali, energie rinnovabili, evitare gli sprechi.

E in ambito agricolo? La risposta è un’agricoltura sostenibile.


L’agricoltura sostenibile utilizza ed integra le risorse naturali locali con lo scopo di mantenere e migliorare la fertilità del suolo, favorisce un uso più efficiente dell'acqua, aumenta la biodiversità delle specie vegetali coltivate e degli animali allevati, protegge la biodiversità nei suoli e negli ambienti agricoli, riduce l’uso della chimica per la gestione di parassiti e infestanti e favorisce servizi di tipo ecosistemico e sociale nell’ambito del suo territorio.



L’agricoltura sostenibile, si avvale delle cover crops, delle minime lavorazioni, di una corretta gestione del residuo colturale e soprattutto di una rotazione delle colture ed una integrazione fra produzioni vegetali e zootecnia.


L’agricoltura sostenibile, quindi, si pone l’obiettivo di fornire le produzioni attese (cibo, materie prime, energia, …) garantendo e migliorando i servizi ecosistemici fondamentali, offrendo una remunerazione equa ai soggetti coinvolti nel processo produttivo, e conservando per le future generazioni le risorse naturali utilizzate.




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